ALLE MONACHE DI CLAUSURA
Lettera dal deserto
Ci rivolgiamo a voi, sorelle “murate vive”, per chiedere la vostra preghiera, per sostenere le vostre braccia alzate, come quelle di Mosè sul monte, in questo tempo di particolare pericolo e disagio per le nostre comunità provate: dalla vostra resistenza nell’intercessione dipende la nostra resilienza e la futura vittoria.
Siete le uniche italiane a non muovere un muscolo facciale dinnanzi alla pioggia di decreti e provvedimenti restrittivi che ci piovono addosso in questi giorni perché ciò che ci viene chiesto per alcun tempo voi lo fate già da sempre e ciò che noi subiamo voi lo avete scelto.
Insegnateci l’arte di vivere contente di niente, in un piccolo spazio, senza uscire, eppure impegnate in viaggi interiori che non hanno bisogno di aerei e di treni. “Dateci del vostro olio” per capire che lo spirito non può essere imprigionato, e più angusto è lo spazio più ampi si aprono i cieli.
Rassicurateci che si può vivere anche di poco ed essere nella gioia, ricordateci che la povertà è la condizione ineludibile di ogni essere perché, come diceva don Primo Mazzolari, “basta essere uomo per essere un pover’uomo”.
Ridateci il gusto delle piccole cose voi che sorridete di un lillà fiorito alla finestra della cella e salutate una rondine che viene a dire che primavera è arrivata, voi che vi commuovete per un dolore e ancora esultate per il miracolo del pane che si indora nel forno.
Diteci che è possibile essere insieme senza essere ammassati, corrispondere da lontano, baciarsi senza toccarsi, sfiorarsi con la carezza di uno sguardo o di un sorriso, semplicemente… guardarsi.
Ricordateci che la parola è importante se pensata, tornita a lungo nel cuore, fatta lievitare nella madia dell’anima, guardata fiorire sulle labbra di un altro, detta sottovoce, non gridata e affilata per ferire. Ma, ancor più insegnateci l’arte del silenzio, della luce che si poggia sul davanzale, del sole che sorge “come sposo che esce dalla stanza nuziale” o tramonta “nel cielo che tingi di fuoco”, della quiete della sera, della candela accesa che getta ombre sulle pareti del coro.
Raccontateci che è possibile attendere un abbraccio anche tutta una vita perché “c’è un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci” dice Qoelet. Il Presidente Conte ha detto che alla fine di questo tempo di pericolo e di restrizioni ci abbracceremo ancora nella festa, per voi ci sono ancora venti, trenta, quaranta anni da aspettare…
Educateci a fare le cose lentamente, con solennità, senza correre, facendo attenzione ai particolari perché ogni giorno è un miracolo, ogni incontro un dono, ogni passo un incedere nella sala del trono, il movimento di una danza o di una sinfonia.
Sussurrateci che è importante aspettare, rimandare un bacio, un dono, una carezza, una parola, perché l’attesa di una festa ne aumenta la luce e “il meglio deve ancora venire”.
Aiutateci a capire che un incidente può essere una grazia e un dispiacere può nascondere un dono, una partenza può accrescere l’affetto e una lontananza farci finalmente incontrare.
A voi, maestre della vita nascosta e felice, affidiamo il nostro disagio, le nostre paure, i nostri rimorsi, i nostri mancati appuntamenti con Dio che sempre ci attende, voi prendete tutto nella vostra preghiera e restituitecelo in gioia, in bouquet di fiori e giorni di pace. Amen.
+ Arturo Aiello
Avellino 13 marzo 2020