Trenta vescovi, provenienti da tutta Italia, si stanno confrontando da ieri a Benevento sulle problematiche delle aree interne, tra spopolamento, denatalità, mancanza di servizi e di infrastrutture. E quindi anche sulla necessità di ripensare la pastorale. A questi presuli ieri mattina il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, ha detto a chiare note che «non c’è futuro senza un vero piano che metta le aree urbane insieme a quelle interne. Questo serve indubbiamente per le aree interne, ma ne va anche della qualità della vita delle aree urbane».
Zuppi si è quindi detto contento «dei molti stimoli e della bella discussione» della due giorni beneventana, in particolare del «modo sinodale di questi lavori, con un confronto aperto per cercare soluzioni, sia per la pastorale ma anche per offrire possibili risposte «perché le aree interne non vengano dimenticate, perché non rappresentano il nostro passato, ma sono il nostro futuro e il nostro essere comunità, il tessuto più vero del nostro Paese».
Tracce di lavoro che Zuppi ha consegnato ai presuli per i gruppi di approfondimento di ieri pomeriggio e che oggi verranno portate a sintesi dal segretario della Cei, Giuseppe Baturi, e nei quali potrebbe trovare eco anche l’argomento dell’autonomia differenziata che, come ha anticipato l’arcivescovo di Benevento Felice Accrocca, «può rischiare di separare ancora le situazioni una dall’altra».
Dal punto di vista più strettamente “tecnico”, la relazione di ieri, tanto articolata quanto appassionata, è stata poi svolta da Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, chiamato ad una riflessione teologico-pastorale sull’esercizio del ministero ordinato nelle zone interne, con una domanda di fondo: voltare pagina?
L’altro elemento di fondo, ha detto subito Repole, è sotto gli occhi di tutti: «in molti centri delle aree interne non vi è più la presenza fisica del presbitero, al quale si chiede sempre più spesso di essere parroco o amministratore di diverse comunità» e nonostante ciò molte volte alla Chiesa viene chiesta una presenza «quale ultimo baluardo per esprimere la permanenza della dignità e del senso della comunità civile».
Sfide, rispetto alle quali Repole ha offerto alcune prospettive: la rivisitazione del servizio di presidenza del presbitero; le possibilità insite nel considerare il ministero ordinato come differenziato e articolato al suo interno; la possibilità di immaginare nuove ministerialità laicali; la considerazione di possibili analogie con il ministero episcopale.
Ma ciò non vuol dire, ad esempio, prospettare «uno sganciamento totale dal servizio del prete dalla dimensione amministrativa ed economica. La legale rappresentanza, sancita dal Concordato, traduce su un piano giuridico un principio teologico che dovrebbe essere chiaro: il prete esiste per garantire che nessuna dimensione, neppure quella amministrativa ed economica, venga esercitata con finalità diverse da quelle della Chiesa, che si mantiene fedele alla testimonianza apostolica»
La seconda prospettiva è data da «un ministero del diacono che – se si ha la persona giusta e competente – potrebbe davvero avere la responsabilità, sempre sotto la sorveglianza e la presidenza del presbitero, della gestione amministrativa ed economica di una vasta comunità di piccole parrocchie».
Per arrivare infine alla prospettiva offerta dalla istituzionalizzazione di nuove ministerialità laicali: «Si può pensare al ministero dell’accolitato, in particolare, come quello della cura e della vicinanza a tutte le persone anziane e malate; al ministero del responsabile e coordinatore della catechesi, immaginando persone che si prendono in carico la responsabilità di gestire la catechesi».