IL TOCCO CHE RISANA E DONA LA VITA

IL TOCCO CHE RISANA E DONA LA VITA

(commento al #Vangelo del nostro Padre Tommaso Violante)

Una matrioska! Sì, leggendo il testo dell’evangelista Marco (5, 21-43), mi viene subito in mente l’idea di una matrioska: un racconto dentro l’altro, un miracolo dentro l’altro. La storia di una donna adulta, affetta da dodici anni da perdite di sangue, dentro la narrazione della risurrezione di una bimba di appena dodici anni, morta da poche ore.

Non intendo analizzare il testo dal punta di vista storico o letterario; piuttosto, desidero leggerlo in chiave allegorica, sperando di non forzare troppo la mano e di non darne una interpretazione troppo fantasiosa. È il numero dodici che mi spinge a fare questo, numero che ricorre due volte nel brano e che, a parere mio, sta a indicare non solo il popolo di Israele (composto di dodici tribù), ma anche la Chiesa (fondata sì sulla roccia, che è Gesù Cristo, ma che ha come colonne portanti i dodici apostoli).

Mi piace pensare la Chiesa per la quale Marco scrive il suo Vangelo come una comunità di recente fondazione (Marco scrive il suo testo intorno all’anno 70 dell’era cristiana), una comunità ancora giovane, da pochi anni chiamata alla fede; ma che è anche una comunità senz’altro eterogenea per le persone che ne fanno parte. Al suo interno, infatti, vi era una maggioranza di pagano-cristiani, cioè di cristiani convertitisi dal paganesimo, che da poco avevano abbandonato i culti idolatri e avevano aderito al Cristianesimo: costoro, nel racconto di Marco, potrebbero essere rappresentati dalla giovane figlia di Giàiro; vi era, poi, una minoranza di giudeo-cristiani (cristiani convertitisi dal Giudaismo), persone di fede e tradizioni antiche, rappresentate, nel testo, dalla donna adulta, sofferente da molti anni.

Questa comunità, non ancora ben identificata (potrebbe trattarsi della Chiesa di Roma o di una comunità in Siria), verosimilmente era in crisi: di sicuro la convivenza poteva risultare molto difficile tra persone provenienti da esperienze religiose del tutto antitetiche. Marco, pertanto, con il suo racconto, vuole richiamare la sua comunità all’unità nella fede in Gesù Cristo, vuole, cioè, che si guardi a Gesù come all’unico salvatore di tutti gli uomini, pagani o Giudei che siano e quale che sia stata la loro precedente esperienza religiosa.

Ai fedeli convertitisi dal giudaismo, Marco annuncia il Messia misericordioso e pietoso, inviato da Dio Padre nella pienezza dei tempi, come aveva promesso nei secoli precedenti attraverso la parola dei profeti, Messia a cui basta avvicinarsi con fede, senza l’eccessiva ossessione dell’osservanza della Legge antica, per essere guariti nel corpo e nello spirito, come accade alla donna emorroissa, che mostra una fede senza dubbio audace, ma creativa.  Israele aveva una plurisecolare familiarità con il suo Signore, che lo aveva scelto per essere il suo popolo e ad esso si era rivelato; non solo: il Signore aveva stretto un patto di alleanza con il suo popolo, ma Israele tante volte era venuto meno alla fedeltà all’alleanza e non aveva corrisposto all’amore di Dio. Nonostante ciò, Dio non ha mai smesso di amare Israele con la tenerezza di un padre misericordioso. Dunque, l’intimità tra Dio e il suo popolo, che può essere considerata anche come confidenza, autorizza la donna emorroissa, che rappresenta i giudeo-cristiani, a credere fortemente che sia sufficiente avvicinarsi al Messia e limitarsi a toccare il suo mantello per sperimentare il suo amore misericordioso, che tutto risana e rinnova.

Ai fedeli provenienti dal paganesimo, già morti alla vita, perché vissuti nel politeismo, nel culto idolatrico e nell’obbedienza a falsi dei, Marco annuncia che è possibile iniziare una vita nuova, dono di Gesù Cristo, datore di vita; una nuova vita, fondata sul dono dello Spirito Santo, cioè sul dono che Dio fa di se stesso all’uomo, e tesa a costruire, nella ordinaria quotidianità, una profonda relazione di comunione con Lui, avendo come punti di riferimento la sua parola e i sacramenti. Una nuova vita, dunque, offerta a tutti gli uomini, anche a coloro che pensano di non poterne usufruire, perché peccatori, indegni di tanto amore e di tale dono; una vita nuova, che è partecipazione alla vita divina, significata dalla mano tesa di Gesù, che prende la mano della figlia di Giàiro, la attira a sé e la ridesta dal sonno della morte, dal paganesimo politeista.

A noi, oggi, cosa può dire questo testo?

Sottolineo soltanto due messaggi.

Primo: la fede consiste nel riconoscere che Gesù è il Figlio di Dio, è Dio egli stesso. Pertanto, vivere la fede significa accogliere Gesù nella propria vita e impegnarsi a costruire una relazione con Lui, attraverso l’ascolto della sua Parola, la preghiera, i sacramenti, la testimonianza.

Secondo: noi discepoli di Gesù siamo chiamati a essere uomini viventi: non dobbiamo trascinare la nostra vita, ma dobbiamo amarla e viverla in pienezza; dobbiamo impegnarci a essere promotori di vita e difensori della vita.

In altre parole: il Signore ci ha amato, ci ha guarito dai nostri peccati e ci ha rigenerato a nuova vita: diamoci da fare a vivere come persone che sperimentano ogni giorno l’amore e la misericordia di Dio.