(riflessione di don Gerardo Capaldo)
Non è difficile talvolta, negli anni giovanili, quando la vita sembra molto bella, prendere le distanze da ogni pratica religiosa. Non sono pochi i dubbi sulla credibilità della Chiesa, sul culto dei Santi, su alcune verità di fede e sulla stessa esistenza di Dio. “Non faccio male a nessuno – si dice – e quando posso faccio qualche opera buona. Non ho nulla da rimproverarmi”.
Quando però, con il passare degli anni, ci si trova in condizioni di grave difficoltà, si avverte l’opportunità di rivolgersi al Signore e implorare la Sua misericordia. Ed è grande il turbamento nel rilevare la mancanza di un qualsiasi riscontro: “Possibile che l’Onnipotente non abbia alcuna compassione di chi lo supplica con tanta fiducia e insistenza?”.
Il vangelo di domenica scorsa ci ricorda uno dei tanti miracoli: Gesù guarisce immediatamente un povero lebbroso. “E ammonendolo severamente lo rimandò e gli disse: Guarda di non dire niente a nessuno” (Mc 1, 40-45). Perché questo silenzio, peraltro incompreso e inosservato, “al punto che Gesù non poteva entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori in luoghi deserti?”.
Gesù forse sapeva bene che non era venuto per guarire i malati di alcuni villaggi, ma per salvare il mondo. Non bastava moltiplicare i miracoli, occorreva liberarlo dalle tenebre del peccato, causa di tutti i malanni, in tutti i tempi e in ogni dove. Ciascuno ha la propria storia e le proprie opinioni. La fede non può essere imposta, ma chi crede deve avere bene in mente (con chiarezza) il progetto di Dio.