La fede in tempo di Covid-19, un tema impegnativo cui non mi sottraggo cercando di dare solo un “vademecum”, un piccolo bignami che aiuti anche le persone più semplici ad attraversare questa notte con il lume della fede. Parlerò ovviamente della fede cristiana, ma occorre precisarlo.
1. La disperazione di tanti dinnanzi alla pandemia in corso nasce e si accresce anche perché si ritiene questa l’unica vita che abbiamo e che vorremmo estendere il più possibile e senza intoppi. La fede cristiana ci ha liberati dalla paura della morte (siamo nell’ottava di Pasqua) assicurandoci che questa che viviamo non è l’unica vita, ma l’anticamera dell’eternità beata che qui abbiamo la possibilità di preparare. Per noi la salvezza è più importante della salute che, a differenza del primo, è un bene sempre deperibile.
2. La fede cristiana ci assicura una presenza costante di Gesù, il Salvatore, che vive con noi in ogni situazione lieta o triste: niente e nessuno può separarci dal Suo amore, neppure il Covid-19. Questa presenza, per contagiati e per parenti, per operatori sanitari e responsabili dell’ordine pubblico, per vivi e defunti è un punto-luce che niente e nessuno può offuscare.
3. La fede nella vita eterna non ci deresponsabilizza dalla storia e dai suoi eventi, dal tempo e dalle sue insidie, dalle tragedie che investono singoli o masse. Per questo la Chiesa di Gesù, prolungamento nel tempo e nello spazio della sua opera redentrice, è attenta e accanto, come il buon samaritano del Vangelo ad ogni persona in difficoltà, sempre pronta a versare sulle ferite, del corpo e dello spirito, l’olio della consolazione e il vino della speranza.
4. L’eventuale accusa a Dio che lascia “tras-correre” le nostre tragedie (“E le stelle stanno a guardare”) è ricorrente e infantile perché il creato, originato dal Creatore, gode di una sua autonomia nelle “cause seconde” che sono provocate da flussi interni al mondo o da responsabilità umane e ingiustizie perpetuate (vedi rottura dell’ecosistema). Comunque tutto è sotto lo sguardo del Padre che trasforma in bene anche il male, quello morale e quello del dolore.
5. Con o senza l’ausilio della fede non cambia il dato oggettivo della tragedia che stiamo vivendo, ma è decisivo sul piano del soggetto che può sentirsi preda del caso (in questo caso del virus) o, comunque (e non è poca cosa!) nelle braccia del Padre Provvidente “che mai turba la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una più grande e più certa” (Manzoni).
6. La preghiera, l’azione dei sacramenti, la comunione che si vive all’interno della Chiesa tra vicini e lontani, tra santi e peccatori, tra vivi e defunti, è un elemento non secondario di forza e di consolazione. La paura del contagio crea diffidenza e divide, la fede incoraggia e mette insieme, fa incontrare, getta ponti anche sul baratro della morte. Per chi crede “nessun luogo è lontano”.
7. Sulle macerie del terremoto del 1980 qualcuno scrisse “Dio dov’era?”. Se ce lo chiediamo adesso, guardando il Crocifisso, dobbiamo rispondere che è intubato nel reparto di terapia intensiva dell’Ospedale “Moscati” in crisi di respirazione. In Gesù di Nazaret, Dio ha voluto sperimentare la finitudine e il dolore (“Ed è subito sera”), non si è limitato a guardare e benedire, ma si è tuffato nella nostra storia condividendo della vita umana ogni cosa, ogni aspetto divinizzandolo.
8. Poiché l’altro, contagiato, angosciato o impoverito, non è un uomo qualsiasi, ma un fratello di cui sono responsabile in cui Gesù si nasconde e si rivela, la fede diventa attiva nelle opere di sostegno a chiunque abbia bisogno e si invera nella carità che si allarga quanto più aumenta la necessità. La pandemia ha liberato tanta cattiveria ed egoismo, ma anche tanto amore fino all’eroismo che, altrimenti, sarebbe rimasto nascosto.
9. La fede non si sostituisce alla ragione, non la benda, non la esclude, ma la esalta perché, con l’ausilio della scienza, trovi le cure adatte, i vaccini, le misure per contenere e frenare il contagio, per alleviare le difficoltà di tanti. La ragione trova motivi interni alla fede per sostenerla, questa riconosce nella ragione un dono di Dio da mettere a frutto.
10. La fede interroga la Parola, ma anche gli eventi per discernerli, per capirli, per leggerli come “segni dei tempi”. Non è possibile da subito darne una lettura chiara, ma, con beneficio d’inventario, la pandemia in corso è un’occasione per riscoprire la nostra comune debolezza che mette insieme ricchi e poveri, nord e sud del mondo in una ritrovata comunione di…fragilità. Questo tempo di “frenata brusca” generale può diventare un momento per capire che cosa sia veramente importante per ripartire più umili e uniti, più solidali e attenti alle sfumature della vita che resta un’avventura meravigliosa.
Un cristiano vero tiene insieme la Bibbia e il giornale, l’eternità e il tempo, la speranza e l’angoscia, il cielo e la terra, l’anima e il corpo, i sogni e i bisogni. Con l’aiuto di Dio e con l’impegno di tutti speriamo di uscire presto dalla “fase 1” della guerra Covid-19 per entrare nella “fase 2” che richiederà ancora più fede ed impegno solidale. Tutti dovranno fare la loro parte, William James, filosofo e psicologo statunitense, diceva: “Agisci come se quel che fai facesse la differenza. E la fa”. La ricostruzione, “fase 3”, sarà lenta e difficile come nel dopoguerra, come nel dopoterremoto. Noi ce la metteremo tutta confidando nell’aiuto di Dio e cercando di trovare il giusto equilibrio tra azione e contemplazione. Un giorno si scriverà di questi mesi, quando la cronaca, vorticosa come un torrente, darà spazio alla storia, placida come un lago, allora vorremmo che si dicesse di noi “i reduci tornarono tutti a scuola e in prima elementare, grandi e piccoli, per riapprendere l’arte di vivere e come si poteva essere contenti con poco”. Diventeremo più buoni? “Ai posteri l’ardua sentenza”!
+ Arturo Aiello
Vescovo di Avellino
Pubblicato sul “Quotidiano del Sud” in data 18 aprile 2020