La città di Avellino è in fermento per la festa più importante dell’anno, Le strade illuminate, i concerti in programma, i rientri anticipati dalle vacanze, il via vai per il Corso che aumenta in maniera esponenziale di ora in ora, parlano di un gioioso fermento e di una attesa che ha sapore d’antico. Il cuore pulsante della festa è la Cattedrale che, anche da lontano, svetta nel suo antico campanile e nel timpano della facciata facendo, con la Torre dell’Orologio, un trio avvincente dove la civitas e la christianitas sembrano convivere pacificamente. Quest’anno, al visitatore annuale che viene ad onorare la Regina della Città, la Cattedrale si mostra completamente restaurata nella facciata e libera dalle cancellate che, a partire dagli anni 70 del secolo scorso, la tenevano quasi prigioniera in una clausura di ferro. È un segno (sacramento?) ulteriore di apertura a dispetto di una preclusione e di una lontananza dal mondo coi suoi drammi che il Concilio Vaticano II aveva già cancellato da mezzo secolo. Dalla vetrata istoriata San Modestino in gloria sembra farsi nelle fattezze più dolce in attesa che la Regina Assunta, nel segno della Statua, varchi la porta per l’annuale visita ai suoi figli per distribuire a piene mani grazie e consolazioni. Gli spari ricorderanno la guerra e le guerre in corso e il tripudio del secolo scorso può cedere il passo ad una diffusa indifferenza dove la festa continua, per le strade e le piazze, depauperata del suo Fulcro, del suo motivo originale ed originante. La fede incontra la storia in tutte le sue contraddizioni e le assume e la Regina lo sa che la città da quarant’anni stenta a trovare un suo fulcro, una sua identità, una sua narrazione da ampliare, certo, ma che può costituire una linea melodica di fondo da arricchire con accordi e contrappunti. Nessuno se ne è accorto, ma all’alzata del Pannetto, portale dei festeggiamenti, dal balcone dell’Episcopio, all’atto di benedire una statua di marmo, il Vescovo ha consacrato la città alla Madre Assunta in un testo di preghiera: un colpo di mano, un gesto folle, forse indebito. Sono pochi coloro che possono dare valore ad un atto del genere, per la stragrande maggioranza è un giro di parole come ne abbondano nella liturgia. Piazza Libertà, le strade e i palazzi, le case e le soglie, le stanze dove si spalma il tempo delle nostre vite, i letti e i tavoli, gli oggetti e i platani, i luoghi della gioia e del dolore, i bar dove i nostri giovani si affollano la sera e la notte, le panchine dei baci, gli spazi della violenza dove si imita la guerriglia delle metropoli, soprattutto le persone, le storie, i vivi e i morti, gli eroi della vita quotidiana e i tanti disperati e cinici sono stati, senza saperlo, abbracciati dalla Regina Assunta. Non solo quelli del 27 luglio sera, non solo quelli del 2023 che portano i tatuaggi del Covid, ma gli avellinesi di tutti i tempi, le pietre e i cuori, i palazzi dello Stato e quelli della Sicurezza Civica, le case popolari, alveari di povertà, e le ville della “Avellino bene”, bambini e nonni, ragazzi e giovani, anziani ed adulti, tutti sono stati posti nelle mani e nel cuore della Madre. Se mai qualcuno leggerà queste righe potrebbe indignarsi, accusarmi di aver fatto un gesto perseguibile penalmente, di aver coartato la libertà di uno, nessuno e centomila…: state calmi! Una benedizione o un atto di consacrazione lascia il tempo che trova, ha un grande valore per chi crede, ma non intacca la libertà di chi si tira fuori, è come la medicina omeopatica: non ha controindicazioni. Un oggetto, una persona, una città consacrata è posta nelle mani di Qualcuno che veglia, difende, custodisce, chiama a raccolta, accompagna con amore. Forse ci salveremo per quella consacrazione della città a Maria? Forse domani si apriranno petali nella melma? Forse tra secoli Avellino sarà la “Città Perfetta” descritta da pittori e filosofi e sognata da poeti e sociologi? Forse, a partire dalla Ferrovia tutta la città sarà un grande murale della Pace? Sono già scomparse le parole pronunciate quella sera “in articulo mortis”, volate via come mongolfiere che avevano fretta di diventare stelle. Forse non sono mai state pronunciate o aspettano di essere dette, di fermentare come vino nelle botti, come lievito nel pane, come semi in un abbraccio. Noi abbiamo fretta, la Madre sa aspettare, ha lo sguardo lungo, frena i nostri interventismi di corto respiro, ci insegna l’arte di attendere in maniera operosa. Dall’alto del suo Trono la Regina ci guarda e ci dice, come le nostre mamme quando eravamo bambini “Non ora non qui!” o, come Eugenio Montale, “Tutte le immagini portano scritto: più in là”.
+ Arturo Aiello