NONOSTANTE TUTTO

Torna il Natale liturgico con i suoi struggimenti, con le sue nenie che indulgono al pianto come raccontano “Le Ciaramelle” del Pascoli, con il suo fascino di infanzia invocata, violentata, invocata, ritrovata. Nonostante gli attentati commerciali, istituzionali o di singoli che progettano una “fuga dal Natale”. Nonostante la paura che ancora la fa da padrona, nonostante i travestimenti sempre nuovi del Covid che tiene in pugno il mondo, nonostante le violenze urbane che ci riportano a mondi tribali, o quelle nascoste nel santuario delle mura domestiche che dovrebbero proteggere come un abbraccio e che, invece, strangolano anche la speranza. Torna puntuale il Natale del Signore, umile e potente, a raccontare di un Dio non più geloso delle sue prerogative, cui bisogna rubare il fuoco della divinità, ma pronto a spogliarsi di ogni solennità per fare spazio all’uomo, tutto l’uomo, ogni uomo. Natale è un punto luminosissimo di non ritorno perché Lui entra nella casa dell’uomo per rimanere: si è domiciliato qui tra noi invaghito dei nostri limiti, attratto dai nostri piccoli piaceri, un sorriso, un bicchiere di vino, il fuoco del camino, le castagne nel paiolo. A noi che vorremmo fuggire lontano emigrando oltre le stelle per trovare un universo vergine, scevro da malvagità e violenze, Lui indica la nostra vecchia terra come unico luogo di Redenzione, nonostante tutto. Se riesci a svincolarti dai mille tentacoli di proposte luccicanti e accattivanti, potrai prendere il viottolo sconnesso che porta a Betlemme, la “Casa del Pane” dove c’è ancora il lievito (della) Madre, dove i panettieri impastano e infornano con lunghe pale e depositano sul fuoco i panetti fermentati al buio che s’indorano come l’aurora di un nuovo giorno. Puoi fare un pellegrinaggio alle case improvvisate sul nostro territorio, tra mille polemiche, per i profughi afgani che hanno lasciato, incustodite, ville e palazzi per salvare le loro vite e l’anelito della libertà, puoi entrare in una delle tante case di accoglienza dove chi ha attraversato il Mediterraneo senza naufragare ha la paura negli occhi e fatica a reimparare l’arte d’avere fiducia negli altri, dove puoi leggere sui loro corpi scritte indelebili di

violenze subite che fanno arrossire i nostri tatuaggi o i nostri interventi di chirurgia estetica. Dinanzi a tanta violenza ci viene da chiedere nuovamente “Se questo è un uomo”, ma il Bambino di Betlemme sembra assorbire ogni negatività, anche quelle del mio cuore, dicendo che tutto è già stato redento. Ogni cosa è illuminata, ogni ferita luogo di salvezza, ogni tentativo di infangare getta gemme di speranza. Provo a inginocchiarmi davanti al Presepe, non so trovare parola più eloquente di questo gesto, per guardare questo miracolo d’amore e per farmi guardare dal Bambino che salva l’umanità. Non sono io che debbo credere in Lui, mi deve bastare che Lui creda in me e in tutti noi. “Uno di Loro si è fatto Uno di noi” recita la formula più sintetica dell’annuncio del Natale del Signore: Uno della Trinità ha lasciato sguarnito il Trono per venire in un piccolo nido, ha vestito la nostra carne, pianto le nostre lacrime, subito la malvagità dell’uomo- lupo da subito, ricercato appena nato per essere ucciso dalla follia omicida di Erode. È a Lui che devi guardare per essere illuminato anche tu e credere in Dio, ma anche nell’Uomo perché il Natale contempla e adora l’Uno nell’Altro. Natale è “nonostante tutto”, non è chiudere gli occhi sui limiti e sui ritardi di singoli e istituzioni, di promesse non mantenute e di paure che galoppano come il vento, è guardare ogni limite ed ogni problema, ogni violenza ed ogni chiusura del cuore, con la certezza della Sua presenza. Da duemila anni abbiamo smesso la lamentazione del “purtroppo” ed abbiamo intonato il canto del “nonostante”. Nonostante tutto è Natale. Natale è… nonostante tutto.

+ Arturo Aiello

Vescovo di Avellino