(PADRE TOMMASO VIOLANTE COMMENTA IL VANGELO DI DOMENICA 7 MARZO)
Gesù è a Gerusalemme per la festa di Pasqua: probabilmente è la prima volta che ci è andato da quando ha iniziato la sua missione di predicatore itinerante. Precisamente, si trova nel tempio, luogo simbolo della fede di Israele, luogo fisico per eccellenza della presenza di Dio tra il suo popolo. Gesù discute animatamente con i Giudei, che hanno trasformato il tempio in un mercato, e, con violenza, servendosi di una “frusta di cordicelle”, caccia fuori da quel luogo sacro i venditori di animali per i sacrifici, con tutta la loro varia mercanzia, e i cambiamonete. Un gesto forte, che indispettisce i Giudei e suscita la loro immediata reazione: «Chi sei tu, che fai questo? Chi credi di essere?». Gesù, sfidando la pazienza dei suoi interlocutori e, soprattutto, mettendo a dura prova il loro senso dell’umorismo, afferma di essere in grado, qualora avessero distrutto quel grandioso tempio, di ricostruirlo in soli tre giorni. L’evangelista Giovanni riporta la reazione, certamente divertita dei Giudei, i quali, molto probabilmente burlandosi di Gesù, si limitano soltanto a ricordargli che quel tempio è stato costruito in quarantasei anni, per cui a chiunque sarebbe stato impossibile costruirlo in tre giorni, anche a lui, che si dà arie da superuomo. Giovanni, dunque, per mettere Gesù a riparo da qualsivoglia equivoco, a mo’ di chiarimento, aggiunge, pensando a coloro che avrebbero letto il suo testo, che Gesù non fa riferimento al tempio di pietre, ma al tempio del suo corpo.
Si tratta di un passaggio repentino da un livello interpretativo a un altro: leggendo tra le righe, si comprende che Giovanni sta relativizzando il valore del tempio costruito da Salomone e rifatto da Erode il Grande, per evidenziare, al contrario, il valore di un altro tempio, cioè il corpo stesso di Gesù, che sarebbe stato distrutto dalla violenta morte in croce e che sarebbe stato rifatto, dopo tre giorni, dalla sua gloriosa resurrezione. Gesù, pertanto, secondo Giovanni, è il nuovo luogo della presenza di Dio tra il suo popolo: il luogo dal quale Dio parla “con autorità” al suo popolo (cfr. Mc 1, 27) e nel quale il popolo può incontrare il suo Dio. In Gesù, Dio tende la mano all’uomo e l’uomo risponde alla chiamata di Dio. In Gesù, Dio e l’uomo si congiungono, essendo Gesù, al tempo stesso, vero Dio e vero uomo. In Gesù, che è il Verbo di Dio incarnato, la Parola di Dio fattasi uomo, Dio rivela il suo mistero e chiama l’uomo a incontrarlo, per costruire, insieme, nella potenza dello Spirito Santo, una nuova relazione, non più fondata su una Legge scritta, ma sull’amore (cfr. Ez 11, 17-20).
In Gesù, anche la preghiera dell’umanità assume un valore diverso: nel dialogo con la donna samaritana al pozzo di Sicar (cfr. Gv 4, 5-42), Gesù le dice che la preghiera che Dio desidera è quella fatta “in spirito e verità” e che il luogo della preghiera, che sia il tempio di Gerusalemme o il monte Garizim o qualsiasi altro, assume, da quel momento in poi, un valore del tutto relativo. Non solo: cacciando via dal tempio gli animali in vendita per essere offerti in sacrificio, Gesù sottolinea, qualora ve ne fosse stato ancora bisogno, che la preghiera non può essere ridotta a un commercio, nel quale si ripagano la tenerezza e la misericordia di Dio, offrendogli in cambio animali sacrificati. La Legge antica, consegnata da Dio a Israele attraverso Mosè, tanto precisa anche nel prescrivere ogni singolo atto del culto privato e pubblico, viene ridimensionata: in un passaggio del Vangelo secondo Marco, Gesù afferma, suscitando il disappunto dei detentori del potere religioso del suo tempo, che “il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc 2, 27. Cfr. Mt 12, 1-8; Mc 2, 23-28; Lc 6, 1-5), indicando, con ciò, un cambio radicale di mentalità, per cui l’uomo e la sua vita, agli occhi di Dio, valgono più di qualsiasi legge.
La preghiera in spirito e verità è quella di cui scrive Paolo nella Lettera ai Romani, nella quale l’apostolo, partendo dalla considerazione che noi “non sappiamo cosa sia conveniente domandare” a Dio nella preghiera -perché la nostra preghiera, normalmente, guarda soltanto alla nostra vita di oggi, al nostro benessere materiale, al quaggiù, dimenticando di fissare lo sguardo alla realtà spirituale del nostro vivere e di ampliarlo alla vita eterna, al lassù-, è Dio stesso che, essendo Padre e volendo il nostro vero bene, per amore viene in nostro soccorso e lo fa per noi, attraverso lo Spirito Santo, che “intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili” (cfr. Rm 8, 26). Pregare in spirito e verità significa mettersi alla scuola di Gesù, il quale insegna: “Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto”, senza sprecare parole, “perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate” (cfr. Mt 6, 5-8). Gesù, dunque, prega in noi, con noi e per noi, perché lui vive dentro di noi, ci accompagna nel nostro cammino e intercede per la nostra salvezza.