La scuola apre le porte a docenti ed alunni, bambini e ragazzi, adolescenti e giovani, genitori e bar con i cornetti caldi, mezzi di trasporto e librai, Dirigenti e personale di Segreteria. Le grandi manovre, iniziate quindici giorni fa, hanno lucidato scale e cattedre, programmi e POF, unità didattiche e finestre sul giardino. È tutto pronto e a molti batte il cuore, i piani prestabiliti saranno rivoluzionati e il “pret a porter” subirà cambiamenti di forma e di contenuto allorquando gli alunni varcheranno l’aula portando i profumi dell’estate e i loro tormenti, la difficoltà a ricominciare e l’infelicità a rientrare in una “forma” rispetto agli orari a fisarmonica delle vacanze. La vera ricchezza della Scuola sono gli alunni che vengono a porre domande, a mettere in crisi i nostri programmi che non prevedono obiezioni, a innervosire gli insegnanti che faranno fatica a scolarizzare la classe e vedranno occhi curiosi o sbadigli ad aprire crepe nel corpo del sapere o dei saperi. “Con te è morta la scuola italiana” trovai scritto in un libretto, dove ciascun visitatore poteva annotare una parola, in un pellegrinaggio al cimitero di Barbiana dove è sepolto Don Lorenzo Milani. Mi mise tristezza quella frase più dell’abbandono in cui versava la canonica-scuola di Don Lorenzo e quel cimitero non più grande di un fazzoletto. La scuola non è morta, ma risorge puntuale da ogni riforma (da Croce a Gentile ne abbiamo viste tante) come luogo religioso (Tempio?) in cui si battono monete nuove e antiche che si chiamano… “parole”! Come in un conio dalle infinite possibilità, le parole sono l’oggetto del religioso contendere tra alunni e insegnanti che, abbracciandosi o ferendosi, si giocano e trasmettono le parole come noi da ragazzi
le figurine Panini. Gli alunni non vengono solo ad acquistare o ricevere parole, ma sono anche produttori e innovatori delle parole che servono a descrivere e a dare risalto (concretezza?) alla vita in tutti i suoi aspetti per insegnanti e genitori, per compagni condannati alle “sudate carte” e Dirigenti che vedono dal monitor delle loro scrivanie il flusso di centinaia di vite che passano e lasciano un messaggio in codice. La scuola non è morta se lo Stato vi dedica le sue migliori energie, se la famiglia scommette ancora su di essa per il bene dei figli, se la Chiesa benedice l’apertura settembrina di quel laboratorio. La “parola” ha ancora il potere di evocare, di dirigere, di raccontare, di rendere presente il passato e anticipare il futuro, di formare e performare vite nella delicata fase del decollo. La “parola”, preziosa moneta del domandare e del rispondere, è la vera ricchezza della scuola sia che si dialoghi con autori del passato, sia che si scrivano formule algebriche alla lavagna interattiva, nel momento in cui “invetta” nell’aula il versodi un poeta come quando si discute dell’economia sostenibile di un autore giapponese. Senza la scuola la parola rischia di accartocciarsi, come le foglie d’autunno, e il silenzio che ne segue, foriero d’ogni violenza e inciviltà, polverizza templi e Istituzioni, brucia biblioteche e culture, ammala le relazioni e atterra le emozioni. Siamo tutti dalla parte della Scuola e dobbiamo alzarci in piedi al fatidico suono del primo campanello, come all’inizio di una sacra celebrazione, col cuore che batte per la solennità del momento, a casa o per strada, nei Palazzi del potere o nelle Chiese, con la coscienza di chi sa che se riapre la Scuola non siamo ancora perduti. Anche il Vescovo, in Piazza Libertà, si alza in piedi allo scoccare dell’inizio della prima ora in tutte le scuole della Diocesi e benedice lo sforzo di tutti, oltre ogni sentire religioso, con laconsapevolezza che l’apertura della Scuola ha più valore del Conio
della Banca d’Italia o della Banca Centrale della Comunità Europea. Qui, come Umberto Saba scriveva dei suoi colloqui con gli amici, “invece di stelle si accendono parole”.
+ Arturo Aiello